Amazon, "Lavorarci è un inferno": ecco cosa c'è dietro i pacchi

Amazon, “Lavorarci è un inferno”: ecco cosa c’è dietro i pacchi

18 Agosto 2015 - di Claudia Montanari

ROMA – Amazon, “Lavorarci è un inferno”: ecco cosa c’è dietro i pacchi. È uno dei siti e-commerce più famosi e utilizzati del mondo con un fatturato, in aumento, di 74 milardi di dollari nel 2013 e migliaia di ordini al giorno. Eppure, in un’inchiesta del New York Time i giornalisti Jodi Kantor e David Streitfeld intervistano decine di dipendenti del colosso di Seattle e il ritratto che ne esce è impietoso e getta un’ombra sul paese dei balocchi degli acquisti online. Amazon sembrerebbe essere un brutto, bruttissimo posto in cui lavorare. L’inchiesta ha raccontato cosa accade all’interno dell’azienda, cosa c’è dietro quei pacchi che ci arrivano a casa in maniera così puntuale e protetta. Cosa sono costretti a subire quotidianamente i dipendenti, costantemente monitorati e stimolati fino allo stremo a produrre sempre di più. Alessio Lana racconta la questione sul Corriere della Sera:

“Durante le riunioni gli impiegati vengono spinti a stroncare le idee dei colleghi, racconta il giornale, a lavorare fino a 80 ore settimana, con email che arrivano dopo mezzanotte seguite da messaggi che chiedono al ricevente perché non ha ancora risposto. E poi ci sono le interrogazioni. Pochi giorni prima delle riunioni, spesso il giorno precedente, i dipendenti ricevono dossier anche di 60 pagine su cui vengono interrogati senza possibilità di tentennamenti, senza dimenticare poi il sistema di messaggistica interno che permette di denunciare la condotta altrui. «Questa è un’azienda che si sforza continuamente di fare cose davvero grandi, innovative e rivoluzionarie che non sono certo facili», commenta Susan Harker, la regina dei cacciatori di teste di Bezos, «quando ti imponi degli obiettivi altissimi, la natura del lavoro è davvero impegnativa e per alcune persone è troppo». Una donna che aveva abortito spontaneamente è stata mandata a un viaggio di lavoro il giorno successivo l’operazione perché, le aveva fatto notare il capo, «il lavoro andava fatto», aggiungendo che se si sta cercando di avere una famiglia, Amazon forse non è il posto giusto. Un’altra donna con il cancro al seno era stata inserita nel «piano di miglioramento delle prestazioni», frase in codice per dire «rischi di essere licenziato», perché le «difficoltà» nella sua «vita personale» aveva interferito con gli obiettivi di lavoro”

C’è chi giura di aver visto scoppiare in lacrime ogni collega almeno una volta e chi ricorda di aver lavorato per quattro giorni senza dormire. Di solito poi, sempre secondo le testimonianze, chi non regge il ritmo delle 80 ore settimanali viene cacciato via, senza pietà. Appena mettono piede in azienda, i dipendenti devono dimenticare le ”cattive abitudini” che hanno imparato svolgendo altri lavori.

Nyt. Jeff Bezos, il miliardario fondatore di Amazon, non ha esitato a rispondere all’attacco del giornale americano, insistendo sul fatto che quello non è il luogo di lavoro da lui conosciuto e quei racconti non appartengono ai suoi ”premurosi dipendenti”:

«L’articolo non descrive l’Amazon che conosco né i premurosi amazonians con cui lavoro ogni giorno. Anche se sono casi rari o isolati, la nostra tolleranza per tale mancanza di empatia deve essere zero. L’articolo va oltre la segnalazione di aneddoti isolati, sostiene che il nostro approccio è quello di creare un luogo di lavoro senz’anima, distopico, in cui non c’è divertimento e non si sentono risate. Ancora una volta non mi riconosco in questa Amazon e mi auguro vivamente non lo facciate neanche voi. Non credo che una società che adotta l’approccio ritratto potrebbe sopravvivere né tanto meno prosperare in un mercato tecnologico come quello odierno che è altamente competitivo per quanto riguarda le assunzioni. Credo fermamente che chi lavora in una società che è davvero come quella descritta dal New York Times sarebbe pazzo a rimanere. Io la lascerei».