The Imitation Game e il ruolo delle donne: combattenti contro guerra e sessismo

The Imitation Game e il ruolo delle donne: combattenti contro guerra e sessismo

22 Gennaio 2015 - di Claudia Montanari

ROMA – Se vi è una cosa che rimane impressa dopo la visione di “The imitation Game” oltre alla genialità e disperazione di Alan Turing -personaggio chiave del film- è il ruolo delle donne in Inghilterra durante la Seconda guerra mondiale. Il regista Morten Tyldum non ha portato sugli schermi solo la storia del geniale matematico britannico che ha cambiato, almeno in parte, le sorti della Seconda guerra mondiale ma ci presenta uno spaccato storico e sociale degli ultimi anni ’30 in Gran Bretagna. Le donne, il cui ruolo principale è stato interpretato a meraviglia da Keira Knightley, hanno avuto una funzione cardine nel periodo della Seconda guerra mondiale e molte di loro furono riunite in quel di Bletchley Park per criptare e decodificare i messaggi tedeschi e riuscire a debellarne gli attacchi. Oltre a voler rendere giustizia al personaggio di Alan Turing, il punto chiave del film è il pregiudizio e lo stereotipo che attraversano la società. Il pregiudizio di cui è vittima Alan Turing, omosessuale, schiacciato dai preconcetti sociali, e stereotipo che inevitabilmente condiziona la vita della matematica Joan Clarke (Keira Knightley, appunto). Clarke, brillante, intelligente, arguta, vero e proprio genio della matematica, si trova a combattere in un campo dominato dagli uomini e che seppur determinata e forte, stenta a riuscirsi a ritagliare quello che le spetterebbe di diritto: essere considerata come matematica e scienziata. Così Clarke, che rappresenta tutte le donne del campus, si trova a combattere prima con dei genitori perbenisti e poi con degli uomini di potere chiusi negli stereotipi della società maschilista dell’epoca. Nonostante le difficoltà dettate dall’epoca, tuttavia, molte donne fecero parte di quella denominata come “mission impossible”: la decriptazione dei messaggi di “Enigma”, la leggendaria macchina che i tedeschi utilizzavano per crittografare le loro comunicazioni. A Bletchley Park erano state riunite le menti più brillanti e tra queste anche molte ragazze, impiegate alle più svariate mansioni. Ma chi erano queste donne che per un certo verso hanno cambiato la storia? Si legge sul Fatto Quotidiano:

“Fino a poco tempo fa se ne sapeva poco o nulla, poi il successo del libro di Robert Harris (Enigma) e del film The Imitation Game, hanno risvegliato l’interesse e anche le ragazze di Bletchley Park hanno deciso di completare con la loro testimonianza il mosaico di quella formidabile avventura umana. Betty Webb e Mary Every avevano lavorato per anni come crittografe a pochi metri l’una dall’altra nel Blocco F. Oggi hanno entrambe 92 anni e si sono incontrate per la prima volta. Al progetto collaborarono migliaia di donne che vivevano in alloggiamenti che ospitavano otto letti a castello per stanza, ma le regole in materia di segretezza erano severissime ed erano scoraggiate le confidenze e le amicizie anche tra colleghe di lavoro. A guerra finita passarono decine di anni prima che si venisse a sapere cosa era avvenuto in quei casermoni che circondavano la villa edoardiana di Buckinghamshire anche perché le giovani donne reclutate tra le forze armate, nelle scuole e nelle università non è che ne sapessero molto. C’era la guerra e ogni cittadino faceva il suo dovere senza fare troppe domande. […]  Mary aveva imparato il giapponese proprio per lavorare sui messaggi intercettati in Estremo Oriente. Mary li traduceva e li passava a Betty Webb che li valutava e li passava, a sua volta, ai criptoanalisti che avevano il compito di decifrarli, se ci riuscivano. Quando si sono incontrate, le due ultranovantenni hanno cominciato a parlare animatamente del lavoro. “Finalmente posso parlare con una persona che sa esattamente ciò che voglio dire”, ha commentato Betty. “È bellissimo”. Tutte le persone chiamate a lavorare a Bletchley Park dovevano firmare un impegno di riservatezza e tutti – senza alcuna eccezione – lo rispettarono alla lettera. Si racconta a questo proposito un aneddoto gustoso che se non è vero è, quanto meno, verosimile. Nel 1974 il deputato Conservatore Sir Richard Body, dopo aver sfogliato un libro che aveva appena comprato (The Ultra Secret di Frederick Winterbotham, storia dei crittografi di Bletchley Park) si rivolse alla moglie Marion e con voce irritata le chiese: “Ma insomma si può sapere cosa hai fatto durante la guerra?”. “No”, fu la secca risposta della moglie. Quello stesso anno Jean-Pitt Lewis vide con grande stupore un documentario di Ludovic Kennedy, il primo realizzato su quella vicenda. Durante la proiezione si alzò in piedi e fissando lo schermo urlò: “No, no, no”. Poi ebbe la gioia di ricevere una telefonata della madre che le disse: “Almeno finalmente so cosa hai fatto”. Pitt-Lewis era una delle “ragazze di Dilly” reclutate all’università dal leggendario grecista Dilly Knox che aveva lavorato come crittografo all’ammiragliato dal 1914 e, a differenza dei suoi colleghi, aveva avuto il permesso di dirigere un gruppo formato da sole donne”